per la promozione dell'endurance e delle altre discipline equestri
Marco, amico mio . Mauro Aurigi ricorda Marco Roghi
Niente sarà più come una volta
Te ne sei andato troppo velocemente
Proprio come fanno i fiocchi di neve
Quando il presidente della SIVE mi ha telefonato per ricordare Marco Roghi, sono stato orgoglioso che abbia pensato proprio a me. Subito preso dall'emozione e dai sentimenti ho iniziato a frugare tra i ricordi professionali e di amicizia. Per una rivista che parla di Ippologia Marco dovrebbe essere ricordato per la sua conoscenza, per la sua grande passione , o per tutta la sua modernità professionale. Non dimentichiamoci che quando iniziò la professione il veterinario ippiatra non esisteva, l'ippologia era tutta in mano a Veterinari Militari o Universitari. Solo loro avevano la conoscenza per effettuare diagnosi od interventi chirurgici specialistici.
In Maremma , terra di grandi tradizioni equestri, il veterinario doveva esercitare la professione anche e soprattutto su altri animali da reddito, ma il cavallo era il fiore all'occhiello della veterinaria. Una professione però ancorata a vecchie tradizioni e credenze popolari. Marco fu il primo a portare grandi rinnovamenti: castrare un cavallo in stazione quadrupedale, riuscire a fare tagli cesarei, prima nei bovini e successivamente anche nelle cavalle; il suo primo taglio cesareo nella cavalla fu fatto sopra un letto di presse di paglia, con anestesia iniettabile, nei locali del vecchio mattatoio di Follonica.
Marco, come veterinario condotto doveva far di tutto: il buiatra, l'ispettore al mattatoio e persino la clinica dei piccoli animali. Quando ho iniziato a frequentarlo, le visite venivano intervallate da passeggiate a cavallo e i ritmi di lavoro consentivano un approfondimento di ogni caso singolo ed una umanizzazione del paziente. Il cavallo non veniva curato solo come soggetto a se stante, ma come un qualcosa inserito nell'ambiente a cui apparteneva; il cavallo Icaro, non era soltanto un maremmano da castrare, ma era il puledro nato da, di proprietà del fattore, che lo doveva poi addestrare ed utilizzare in un certo modo ed in un certo ambiente sociale. Pochi eletti facevano equitazione sportiva, gli altri utilizzavano il cavallo esclusivamente per lavoro. Marco aveva origini contadine ed era parte viva del loro mondo, ma la sua alta personalità e professionalità gli consenti di elevarsi non dimenticando mai le proprie origini.
Il cavallo da lavoro era curato con le stesse metodiche innovative del cavallo sportivo e quest'ultimo traeva vantaggio dal bagaglio culturale e dalle esperienze professionali che venivano fatte su un gran numero di soggetti. Questo è importante per cercare di capire la grande umanità che trasmetteva, il grande rispetto nei confronti dell'animale e del proprietario. Oggi quando trattiamo un caso clinico tendiamo a confrontarci con la nostra preparazione scientifica e ci scontriamo professionalmente con colleghi più o meno preparati, ma limitandoci ad una valutazione scientifica. Tutti noi abbiamo perso l'umanità, la passione profonda verso questo lavoro. Roghi mi insegnato molto sia come Ippiatra che come Uomo di cavalli, ma quello che nessun testo e nessuna Università può dare me lo ha dato quotidianamente mettendo il cuore nella professione , con il rispetto assoluto verso i colleghi.
Potrei raccontare centinaia di episodi professionalmente divertenti: quando l'ho conosciuto per esempio era soprannominato Domaciuchi, poi fu uno dei primi a fare l'Ippiatra, capì che era importante passare da anestesie iniettabili ( Etere guaiacolglicerico e Cloralio Idrato ) ad anestesie gassose, ma tutto questo comportava anche la necessità di un letto operatorio e allora se lo fece costruire trasportabile su ruote per portarlo a domicilio nelle scuderie; fu il primo vero " Vet at Home", ma questo non era più sufficiente e decidemmo di costruire una Clinica per cavalli, senza però avere esempi, se non quelli Universitari a cui riferirsi. Fu un periodo professionale di grande ricchezza, il coraggio ci faceva superare difficoltà enormi, ma nonostante la nostra applicazione non potevamo attingere ad esempi in Italia. Per questo decise di andare in Germania per un periodo di studio e ritornò arricchito ed ancora più coraggioso.
Iniziammo ad operare casi di colica, tagli cesarei nella cavalla e tutti gli interventi di routine nella chirurgia del cavallo. Fu un periodo molto produttivo, e senza perdere l'entusiasmo degli inizi, continuammo a fare gli interventi a domicilio, nell'aia del contadino, o presso scuderie importanti. Rimaneva la voglia di fare la chirurgia del cavallo in piedi.
La prima volta che abbiamo intubato un cavallo, presi dall'emozione mettemmo il tracheotubo senza togliere il polistirolo all'interno dell'imballaggio, passati alcuni secondi di apnea, il cavallo si liberò del materiale estraneo con un colpo di tosse, facendo nevicare polistirolo in sala operatoria.
Questo era l'inizio, successivamente, trasferitosi a Siena, è riuscito a regolamentare il Palio, attirando per questo, sulle proprie decisioni , pesanti critiche; imponendo un modello morfologico ed attitudinale per l'unica corsa al mondo"dove il cavallo deve correre portandosi in groppa tutti i sentimenti e le passionalità del popolo di una contrada". Non a caso era soprannominato l'uomo del Palio.
Negli ultimi anni da grande diagnostico e chirurgo si era avvicinato alla Fisioterapia del cavallo essendo uno dei fondatori della prima Scuola Italiana di Fisioterapia Equina. Un giorno mi disse che con la fisioterapia aveva riscoperto il contatto fisico con l'animale senza l'intermediazione di apparecchiature più o meno sofisticate ( apparecchi radiografici, ecografi ecc.).
Non dimentichiamo infine il Marco cavaliere, in concorsi ippici ed in gare internazionali di Endurance. Ma tutti noi ricordiamo soprattutto quel suo camminare dinoccolato, quel sorriso fra mille rughe, quella sua disponibilità a dare un buon consiglio a tutti i colleghi. La sua faccia strana fu presa anche come testimonial di una famosa casa di abbigliamento, perché rappresentava la durezza e la schiettezza della Maremma. Abbiamo perso tutti un grande professionista, ma soprattutto quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo meglio, hanno perso un grande amico. Ovunque egli sia lo immagino insieme a tanti altri amici a disquisire sui dati biometrici ed attitudinali dei cavalli degli angeli. E se invece che in Paradiso fosse all'Inferno . forse. si troverebbe a suo agio anche là!!! Ciao Marco.
Scrivere un ricordo di Marco Roghi, pur essendo trascorso qualche tempo dalla sua scomparsa, provoca ancora - in me, ma posso testimoniare che ciò accade davvero a tutti coloro che lo conoscevano bene - un sentimento di fortissimo dolore.
E forse è proprio questo il punto da cui muovere per raccontare qualcosa su di lui. Questo dolore, infatti, dipende solo in parte dai nostri sentimenti, ed è invece legato proprio alla sua personalità. Intanto, la sua scomparsa appare come un tragico paradosso: Marco era l'immagine stessa della vitalità, dell'entusiasmo, dell'energia, della passione, è come se fosse un elemento necessario della nostra realtà quotidiana; vederlo e incontrarlo ti metteva addosso il buonumore e l'ottimismo, sapere che c'era, da qualche parte del mondo, ti rendeva ottimista sul disegno dell'esistenza.
Non voglio essere troppo retorico, e mi scuso anzi se le parole debordano fuori di controllo. Marco stesso magari protesterebbe, dato che odiava le forme controllate, e in fondo fredde, dell'etichetta e del protocollo, l'espressione ipocrita delle buone maniere. Marco era la persona più autenticamente "popolare" che io abbia mai conosciuto. Diretto, ironico, trasparente come la vita lo aveva fatto nascere in quel di Maremma, e insieme appassionato conoscitore e frequentatore delle tradizioni locali. Rammento ancora, ad esempio, quante volte mi ha trascinato a "cantar maggio", secondo le regole maremmane. Cioè: girando la notte del 30 aprile per le case coloniche insieme con i "poeti" a improvvisare in ottava rima, bevendo vino e mangiando zuppe, uova sode e affettati. Fin quando, almeno, i "poeti" sono esistiti, perché oggi, ormai, ne rimangono pochissimi, e i giovani preferiscono la discoteca nella sera che precede il dì di festa.
Faceva parte di questa "antiretorica" anche l'espressione diretta dei sentimenti. Marco non aveva mai problemi a saltare i preliminari e le formule di cortesia, ad esprimere immediatamente quel che provava per gli altri. E' per questo che ha lasciato una traccia così indelebile nel cuore e nella testa di tutti. Non aveva remore nella comunicazione, nessun timore reverenziale nei confronti di chi godeva di qualche fama, e dall'altro lato nessuna forma paternalistica verso chi avesse umili origini. Qualche esempio? Chi si metterebbe a discutere di cultura con Umberto Eco? Lui sì: in una cena, gli chiese a bruciapelo se sapesse quanto latte d'asina fosse occorso a Poppea per il suo famoso bagno, e quello trascorse l'intera serata a discutere con lui la questione. Chi avrebbe osato parlar di musica con Luciano Berio? Lui sì: una volta gli illustrò, cantando, e magari stonacchiando un po', ma senza remore, tutte le variazioni ammesse di Maremma Maremma. Il rovescio è dello stesso tenore. Un giorno a Firenze, passeggiando per il centro, vide un vecchietto mal combinato, fortemente ripiegato su se stesso e con l'aria ovviamente niente affatto contenta. La sua battuta fu: "Nonno, avete preso una brutta piega". Credevo di sprofondare, ma quello invece si mise a ridere, e ci offrì un caffè.
Non aver mai paura di ciò che si è: questa era la filosofia della vita di Marco. Con un corollario importante, e cioè che ciascuno può cambiare il destino apparente per il quale è nato. Figlio di minatori, Marco ha saputo battere le difficoltà delle origini, ed è diventato uno dei più famosi veterinari del mondo, per la sua specialità almeno. Un giorno, circa quattro anni orsono, mi trovavo a Londra per un congresso, e la sera accesi la televisione su un canale britannico. Verso mezzanotte c'era Roghi, intervistato per mezz'ora sui caratteri del purosangue irlandese. Marco girava il mondo, per questo: Uruguay, Polonia, Ungheria, Irlanda, Dubai e chi più ne ha più ne metta. E tuttavia rimaneva sempre maremmano prima di tutto, e un po' senese poi, la sua seconda patria lavorativa e affettiva. Perché noi siamo quel che siamo, e allo stesso tempo siamo quel che costruiamo per noi.
Una simile capacità di adeguarsi alla, ma creare la propria esistenza, ha anche bisogno di un fondamento: la curiosità. Marco era indiscutibilmente curioso di tutto, di cose come di persone. Ha coltivato relazioni e amicizie, incontri e conoscenze. Ed è stato dilettante di ogni esperienza, proprio mentre era grande professionista nella sua. Da ragazzino dipingeva (orrende croste, si capisce, ma ci provava).
Suonava la chitarra senza essere andato a scuola e senza conoscere la musica. Ballava benissimo il boogie, e si arrangiava col valzer. Si buttava in canoa per i torrenti. Giocava, malino, a scacchi. Sapeva dirigere un campeggio, e lo aveva fatto più volte. Parlava l'inglese, senza averlo praticamente studiato, in modo orrendo, eppure molto più comprensibile di molti, e anche il francese, che massacrava a più non posso, ma facendosi intendere alla bisogna, e persino un po' di spagnolo, non vi dico in quale terribile foggia, ma anche lì comunicando perfettamente. Questo era il punto: che le esperienze non professionali servivano per la comunicazione, e per divertirsi insieme ad altri. Il suo amore per gli "altri", intesi come il prossimo ma anche come chi è diverso da noi, è il tratto fondamentale della sua vita. Mi ci riconosco tanto, e vorrei almeno in parte somigliargli. E' per questo soprattutto che Marco ci manca, perché è una parte intima di noi: forse, proprio la migliore.
Cordiale, disponibile, sempre pronto a parlare apertamente con tutti ricercando di volta in volta il linguaggio più semplice e diretto, tanto da farti sentire sempre compartecipe a pari livello.
Con la schiettezza goliardica del suo modo di fare, la sua disponibilità proverbiale, la scanzonata ilarità mai offensiva anzi conciliante, l'amicizia che non tradisce mai e mai ti rinfaccia, Marco riesce a conquistarti facendo si che il rapporto sia incredibilmente vero e dirompente come il galoppo del suo Katib, arabo superbo, intelligente e soprattutto capostipite di tanti cavallini senesi.
Disponibile sino all'inverosimile Marco è l'ancora di salvezza per tutti. La sua professionalità e l'impegno sul lavoro lo rendono unico come veterinario, la città gli rende omaggio e quel minuto di silenzio in piazza del campo sembra non finire mai. Trentamila persone non respirano per non fare rumore, i fantini scendono dai cavalli già al canape e persino i cavalli abbassano la testa , si immobilizzano per salutarlo.
Nello spazio di quel minuto mi sono trovato a sorridere con il cuore perché mi tornano in mente ricordi bellissimi, indelebili di vita comune passati tra cavalli, cavalieri, amazzoni, momenti spensierati , felici, divertenti. Con l'impeto di un fiume in piena Marco entra nella nostra vita lasciando un'impronta che mai si potrà cancellare, e noi ci accorgeremo di essere ancora insieme.
Gli amici del " veterinario del Palio" ricordano Marco Roghi. Cittadini e studiosi parleranno del rapporto tra uomini e animali. "Non si tratta di una commemorazione-ha detto Omar Calabrese- ma di un ricordo che deve essere il più possibile vitale e curioso,rispettando il suo carattere e l'entusiamo."
Una notte d'estate del 1986 a Bari, cappellacio da buttero in testa, abbigliamento al solito un po' ciondolante, stivali e pantaloni di pelle, Marco Roghi entra a piedi nel grande rettangolo illuminato. Lo segue passo passo, completamente sellato ma libero, Trovatore stallone murgese di tre anni e sei quintali, dalla lucida livrea nera che splende sotto i riflettori. Il brusio della fiera cessa di colpo. Marco ferma il suo passo dinoccolato e un po' strascicato in mezzo all'arena e Trovatore va a sbattergli leggermente le froge tra le scapole. Marco si gira, tocca la groppa del cavallo che si accoscia a terra, e quindi, raccolte le redini, monta. Trovatore si alza e seguono 20 minuti di virtuosismi da scuola, tra gli applausi della gente. Io ero rimasto a bocca aperta per la sorpresa. Era il primo esemplare di una razza bellissima ma allevata solo per la carne, sottratto al macello ed esibito in una manifestazione ufficiale.
Mi ero incontrato con Marco la prima volta in un ristorante di Siena nel 1979. Abitavo a Firenze allora, e avevo un problema: salvare dal coltellaccio dello squartatore e dall'inevitabile estinzione l'unica razza italiana sopravvissuta in purezza. Un amico mi aveva detto che Marco era quello che faceva al caso mio. Ci intendemmo subito. "E si fa, eh" disse disinvolto e laconico, disinteressatamente. Questo era Marco.
Andammo insieme a Martina Franca in Puglia a vedere. Sei mesi dopo cominciai l'allevamento brado in un bosco del Chianti accidentato come pochi altri. Me ne capitarono di tutte: puledri nati a 12° sotto zero in mezzo alla neve e raccolti mezzo assiderati, la fattrice rimasta tre giorni in fondo a un burrone, l'altra trovata con un profondo squarcio nella coscia, un'altra ancora che va a infilarsi un pezzo di ferro nello zoccolo e lo stallone che, ferendosi, sfonda il recinto, lascia le sue giumente e s'imbranca per una settimana, prima di ritrovarlo, con tre cavalle girovaghe arrivate chissà da dove. Marco c'era sempre. Non so come facesse ad accontentare tutti, ma lo faceva. Mi ricordo come mi si allargasse il cuore quando, accanto ad un animale accasciato in un bosco sperduto, magari di notte, magari sotto la neve, vedevo apparire i fari del suo fuoristrada. Questo era Marco.
Quando arrivò direttamente dalla Murgia Trovatore, puledro selvaggio di trenta mesi, mi disse: "Questo te lo domo io, me lo porto a Follonica". Dopo un mese erano già un binomio inscindibile e famoso, presenti in tutte le occasioni tra Massa e il mare fino a Grosseto. Al terzo mese fu la volta della dura performance Follonica-Siena dove i due furono quelli che arrivarono in migliori condizioni. Fu allora che gli dissi: "Stai sulle spese con quel cavallo, ridammelo che da me sta brado e non mi costa niente". "No, mi rispose, tra tre mesi c'è Hyppos a Bari, si va tutti laggiù e gli si fa vedé che è un murgese se passa di Maremma". Ero un po' preoccupato, mi sembrava un po' una spacconata esibire uno maschio intero di tre anni con solo sei mesi di addestramento. Anche a Bari ci volle del bello e del buono per convincere l'organizzazione a inserire Trovatore nello spettacolo serale. Ma siete sicuri?, ci dicevano, un murgese in equitazione di scuola non si è mai visto. Marco l'aveva tenuto nascosto anche a me cosa era riuscito a fare in quei sei mesi. Ti volevo fare una sorpresa, mi disse dopo, un premio per come ti sei battuto per questa razza. Se aveva voluto sorprendermi c'era riuscito.
Questo era Marco. E' anche merito suo se oggi, dopo poco più di vent'anni la razza non corre più il rischio dell'estinzione, anzi è tra le più apprezzate in Italia, e se Quillo, un discendente di Trovatore, probabilmente unico cavallo italiano assurto in Europa a tanto onore, è nel maneggio reale di Stoccolma.
Questo era Marco. Non ho mai conosciuto un uomo di cavalli completo come lui. Era allevatore, domatore, addestratore, cavaliere raffinato, cavaliere sportivo. Ed anche maniscalco. Ed anche veterinario, grande veterinario. Ma soprattutto era un uomo, ed un uomo di tempra speciale, di quelli che si sono fatti da soli. Franco, diretto, esplicito e spesso duro e spietato nei giudizi. Ma quante volte ho dovuto ringraziare, dopo, quella spietatezza che pure mi mandava in bestia.
Aveva cominciato presto, ancora adolescente, a lavorare negli allevamenti maremmani insieme ai butteri, per passione ed anche per bisogno. Ne ha fatta di gavetta prima di arrivare. Aveva una volontà grintosa fuori misura (come altrimenti avrebbe potuto resistere così a lungo e così bene nel mondo pieno di agguati e imboscate del Palio?). Arrivò fino alla laurea e poi alla notorietà, ambedue guadagnate sul campo. E non è un modo di dire, perché prima di mettere su la clinica a Follonica, ne aveva una ambulante, rimorchiata dal fuoristrada: operava sul posto, nel padule o nella macchia, a cielo aperto.
Questo era Marco. E invece no, invece era molto di più, era uno dal cuore grande, era schietto nell'amicizia, era un conversatore brillante, d'una simpatia naturale, spontanea tutta toscana, anzi maremmana, anzi da maremmanaccio. Cantava anche, era stato un maggiaiolo appassionato e ne aveva nostalgia. Oh sì, come mi accorgo ora che mi mancheranno le serate di tanti anni fa, intorno a un fiasco di vino e pane e buristo, qualche volta al lume di candela, qualche altra intorno al fuoco o davanti a un caminetto. Perché da tempo gli incontri si erano ormai diradati, un'allergia mi aveva fatto rinunciare ai cavalli, mentre lui era sempre più impegnato col Comune nel Palio. E sì che abitiamo a un tiro di schioppo, lui nel Comune di Monteriggioni, io in quello di Siena.
Lo sai Marco?, il primo insensato pensiero che mi è venuto in mente, quando una locandina di giornale intravista dal finestrino dell'auto mi ha squarciato brutalmente il cervello, è stato: "Da quanto tempo non ci siamo più visti? cinque mesi, sei, un anno?". Insieme a Anna mi sono precipitato al Mandorlo, ma vigliaccamente siamo tornati indietro, non ce l'abbiamo fatta. Ho preferito aspettarti il giorno dopo al Laterino. Che brutto modo quello di incontrarci di nuovo. Questa proprio non ce la dovevi fare. Hai fatto piangere un sacco di gente, Marco. Sono vecchio, Marco, e ne ho visti di funerali, ma mai ho visto così tanti piangere così tanto, uomini e donne indiscriminatamente. Hai lasciato un grosso vuoto, Marco. Il mondo in cui ti muovevi non sarà mai più lo stesso senza di te. Ciao, Marco, amico mio ..
15 luglio Ad un anno dalla scomparsa di Marco Roghi, I suoi amici di sempre
A Marco
perché non ci dimentichi
Ci sono persone
che sanno starci nella vita
per la loro intelligenza
per la loro ironia
per la loro estrema concretezza
per il loro modo bambino di sognare
Ci sono persone
che sanno starci nella vita
e ti accompagnano
anche quando non ci sono più
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